Spoiler: funziona. Ma non da solo.

Il Premio Strega è il più noto riconoscimento letterario italiano, fondato nel 1947 da Maria Bellonci e Guido Alberti (quello del liquore, sì). Ma se pensi che vinca “il libro più bello dell’anno”, forse è il caso di aggiustare un po’ il focus.

Come si partecipa?

Un libro può essere candidato da uno o più “Amici della Domenica”, il corpo elettorale del premio (oggi circa 660 membri). Possono proporlo editori grandi, piccoli, o anche autori stessi (tramite canali interni), ma senza l’appoggio giusto, non si entra nemmeno nel radar.

Le fasi del premio

  1. Selezione ufficiale: a marzo vengono annunciati i candidati (fino a 80).
  2. Dozzina: una giuria tecnica riduce l’elenco a 12 titoli (qui si gioca la vera partita editoriale: lobby, contatti, passaggi a stampa strategici).
  3. Cinquina finalista: scelta tramite votazione interna.
  4. Vincitore: annunciato a luglio, con votazione finale pubblica.

Ogni passaggio è regolato da statuto, ma anche — diciamolo — da equilibri editoriali, pressioni politiche (del settore), e dinamiche visibilità-prestigio.

Cosa serve per vincere?

  • Un libro forte e leggibile.
  • Una CE che spinga con convinzione.
  • Una rete solida tra gli “Amici”.
  • Un tempismo perfetto: il titolo deve arrivare al momento giusto (uscita tra gennaio e marzo, rilanci stampa già in atto).

È manipolato?

Non “truccato”. Ma è un sistema profondamente relazionale, dove la qualità narrativa è condizione necessaria, non sufficiente.
C’è chi lo vince con merito pieno. E c’è chi viene lasciato indietro nonostante l’eccellenza, per mancanza di peso editoriale.

Quindi… vale ancora la pena seguirlo?

Sì, se lo guardi con occhio tecnico.
Il Premio Strega non dice cosa leggere, ma dice cosa l’editoria italiana vuole mettere sotto i riflettori.
E questo, per chi lavora con i libri, è già una lettura importante.